Non fosse stato per quel disco registrato nell’estate del 2022 forse non saremmo tornati a suonare. Uomini a cavallo dei trenta, stiamo imparando ora ad ascoltare i nostri bisogni e, ad un certo punto, ci siamo auto-ingannati sostenendo che no, non avevamo più voglia di suonare insieme. Di suonare proprio. Che, siccome alcune cose ci mettevano a disagio, fosse meglio mollare tutto.
Con gli occhi di oggi Anni Luce non è stato solo la spinta a riprendere, ma diceva già delle cose che stiamo capendo solo ora, sia dal punto di vista lirico che musicale. Forse è anche per questo che ci abbiamo messo così tanto a farci i conti: non solo perché scritto a pezzi, a distanza, e registrato in un periodo, quello della pandemia, che ha complicato le nostre vite, ma anche perché ci abbiamo impiegato molto a capire cosa rappresentasse per noi e cosa volessimo rappresentasse per il mondo al di fuori di noi.
Quando abbiamo cominciato a suonare quei pezzi dal vivo ci sembravano già vecchi, già superati nelle nostre teste, anche se li avevamo appena pubblicati, eppure ciò che rendeva e rende tuttora Anni Luce imperfetto è la precisione con cui descrive il momento in cui ci trovavamo. La transizione che avevamo voluto rappresentare, ma anche archiviare, presentandoci con un’identità nuova, era invece pienamente in corso, e tutte le questioni e gli interrogativi che avevamo compresso dentro risposte chiare ma semplificatorie e intransigenti ribollivano ancora.
A marzo abbiamo suonato due concerti in concomitanza con l’uscita del disco, “secret shows” che non celavano nulla di magico quanto piuttosto la nostra difficoltà a fare i conti con la nuova versione pubblica di noi stessi. A Lodi e Carmagnola però, tra lx amicx venutx a vederci, abbiamo ritrovato l’immediatezza del dialogo con le persone a cui si vuole bene ad aprire un varco nell’anno e mezzo di costruzioni cerebrali dietro le quali ci stavamo nascondendo.
Ad aprile siamo stati a Bergamo e Trento per i primi due concerti veramente pubblici ma è stato a maggio, a Milano, che per un attimo abbiamo ritrovato la pura gioia di suonare. Milano è sempre stata importante per noi: è dove, ad uno dei primi concerti dei One dying wish, al T28, abbiamo conosciuto Andrea. È dove, un anno dopo, abbiamo suonato il primo concerto in quattro, al Ligera. È dove, quest’anno, abbiamo cominciato a capire quale fosse il posto di Anni Luce e in generale di Sacrofuoco nella nostra testa, nella nostra relazione a quattro, ma soprattutto nel mondo fuori. Sarà stato il posto, il Cox, sarà stata la compagnia, i Massa Nera, coloro che sarebbero poi diventatx i Dagerman e le persone nel pubblico, ma quel giorno abbiamo avuto la sensazione che Anni Luce parlasse non solo di noi, a noi, ma anche oltre noi, sia nel senso di risuonare in altre persone, sia nel senso di costituire un nuovo capitolo di una storia, la nostra, e non una nuova storia, senza radici. Sia nel senso di rappresentare qualcosa che non capivamo ancora o, meglio, qualcosa di cui non capivamo il ruolo, la funzione, il senso.
A Pinerolo eravamo carichi e frastornati allo stesso tempo, poi l’estate ci ha di nuovo tenuti lontani, raffreddando la fiamma al punto che a settembre abbiamo dovuto suonare in tre a Cavallerleone e annullare, con grande rammarico, il nostro ritorno al T28, dove tutto aveva cominciato a prendere la forma attuale 6 anni prima. Tra problemi logistici, lavorativi e di salute ci siamo ritrovati a mettere di nuovo in discussione molte delle cose che avevamo capito ma forse non ancora acquisito.
Il mese di novembre è stato provvidenziale nel tenerci impegnati e Salvo, amico prezioso, nel tenerci insieme. Giovanni e i Tanz Akadamie ci hanno portati quasi di peso in Svizzera per un fine settimana terapeutico, in cui Tamara, Seba e Viktoria si sono prese cura di noi, ci hanno cucinato pranzi squisiti che abbiamo condiviso insieme a lunghissime chiacchiere e sì, hanno anche organizzato due concerti in cui vedere che effetto facesse la nostra musica oltre le Alpi.
Il fine settimana successivo, a Pordenone abbiamo suonato in un club dopo tanto grazie a Cieli persi e rivisto persone che mancavamo da tempo, mentre a Magenta ci siamo pressati in una saletta grossa la metà della nostra a casa di Davide, insieme a tante facce amiche e sconosciute.
Gli ultimi due concerti dell’anno a Lecco – per la serata a sostegno del popolo palestinese organizzata da Do you care? Zine e Never Cursed, e a Osio Sopra, per This town needs skramz – sono stati resi speciali dalla presenza dell’Associazione Amicizia Bergamo-Palestina, con il progetto Un’ambulanza per Gaza a cui è sempre possibile donare qui.
Quindi? Quindi niente, non è una storia a lieto fine, non c’è una fine, non c’è una morale o un bilancio da tracciare ma volevamo condividere la fatica e la felicità di essere arrivati fin qui, e di poter guardare avanti, insieme.
Grazie!
Andrea, Filippo, Francesco, Zefiro.
Sacrofuoco
Eng
If it hadn’t been for that album recorded in the summer of 2022, perhaps we wouldn’t have started playing again. Men in their thirties, we are now learning to listen to our needs and, at a certain point, we deceived ourselves by claiming that no, we no longer wanted to play together. To play at all. That, since some things made us uncomfortable, it was better to give up everything.
With today’s eyes, Anni Luce wasn’t just the push to start again, but it was already saying things that we are only now understanding, both from a lyrical and musical point of view. Maybe that’s also why it took us so long to come to terms with it: not only because it was written in pieces, at a distance, and recorded in a period, that of the pandemic, which complicated our lives, but also because it took us a long time to understand what it represented for us and what we wanted it to represent for the world outside of us.
When we started playing those pieces live they already seemed old to us, already outdated in our heads, even though we had just published them, yet what made and still makes Anni Luce imperfect is the precision with which it describes the moment we were in. The transition that we had wanted to represent, but also archive, presenting ourselves with a new identity, was instead fully underway, and all the issues and questions that we had compressed into clear but simplifying and uncompromising answers were still boiling.
In March we played two concerts in conjunction with the release of the album, “secret shows” that did not hide anything magical but rather our difficulty in coming to terms with the new public version of ourselves. In Lodi and Carmagnola however, among the friends who came to see us, we found the immediacy of the dialogue with the people we love to open a passage in the year and a half of cerebral constructions behind which we were hiding.
In April we went to Bergamo and Trento for the first two truly public concerts but it was in May, in Milan, that for a moment we rediscovered the pure joy of playing. Milan has always been important to us: it’s where, at one of One Dying Wish’s first concerts, at T28, we met Andrea. It’s where, a year later, we played the first concert as a four-piece, at Ligera. It’s where, this year, we began to understand what the place of Anni Luce and Sacrofuoco in general was in our heads, in our relationship as a four-piece, but above all in the world outside. It may have been the place, the Cox, it may have been the company, Massa Nera, those who would later become Dagerman and the people in the audience, but that day we had the feeling that Anni Luce was speaking not only about us, to us, but also beyond us, both in the sense of resonating in other people and in the sense of constituting a new chapter in a story, ours, and not a new story, without roots. Both in the sense of representing something we didn’t understand yet or, better yet, something whose role, function, and meaning we didn’t understand.
In Pinerolo we were charged and dazed at the same time, then the summer kept us apart again, cooling the flame to the point that in September we had to play as a three-man band in Cavallerleone and cancel, with great regret, our return to T28, where everything had begun to take its current shape 6 years earlier. Between logistical, work and health problems we found ourselves questioning again many of the things we had understood but perhaps not yet acquired.
The month of November was providential in keeping us busy and Salvo, a precious friend, in keeping us together. Giovanni and Tanz Akadamie almost bodily flew us to Switzerland for a therapeutic weekend, where Tamara, Seba and Viktoria took care of us, cooked us delicious meals that we shared with long chats and yes, they also organized two concerts to see what effect our music had beyond the Alps.
The following weekend, in Pordenone we played in a club after a long time thanks to Cieli persi and saw people we had missed for a long time, while in Magenta we crowded into a room half the size of ours at Davide’s house, together with many friendly and unknown faces.
The last two concerts of the year in Lecco – for the evening in support of the Palestinian people organized by Do you care? Zine and Never Cursed, and in Osio Sopra, for This town needs skramz – were made special by the presence of the Associazione Amicizia Bergamo-Palestina, with the project Un’ambulanza per Gaza to which you can always donate here.
So? So nothing, it’s not a story with a happy ending, there is no end, there is no moral or balance to draw but we wanted to share the effort and happiness of having come this far, and of being able to look forward, together.
Thank you!
Andrea, Filippo, Francesco, Zefiro.
Our van playlist here: ♫♫♫