Anni Luce (2024)
- Le ombre intorno
- La luce di ciò che ci aspetta
- Corpi celesti
- Una sottile linea
- Parole d’amore
- Convalescenza
- Replica
Inspira. Espira. Inspira.
La naturale alternanza del movimento respiratorio si è rotta, il primo meccanismo innato del corpo, sintomo di vita, si è fatto forzato, faticoso. Spaesati e spaventati, ci siamo abituati ad una nuova normalità, abbiamo perso di vista il male, abbiamo allontanato la cura. Abbiamo accettato di sopravvivere, anche a costo della nostra stessa vita. Ci siamo trincerati tra mura e confini, credendo che sarebbe bastato quanto avevamo portato dentro con noi.
Ma il calcolo razionale si è rivelato inesatto e la nostra fortezza si è fatta prigione. Siamo diventati sospettosi di ciò che avevamo lasciato fuori e, man mano che le risorse interne si assottigliavano, faticavamo sempre più a sintonizzarci con quanto avevamo intorno, che appariva lontano, estraneo, mentre cresceva la nostra paura, la nostra nevrosi quotidiana. Eravamo distanti anni luce da dove pensavamo di essere, da ciò che speravamo di diventare, le gambe avevano già ceduto mentre ci animava ancora l’illusione di poter trovare una via.
Inspira. Espira. Inspira.
Abbraccia il conflitto, accogli la possibilità del fallimento, la vulnerabilità è la nostra speranza. Sacrifica una parte di te per diventare parte del tutto, insieme possiamo domare le fiamme che ci consumano.
Insieme possiamo ardere di vita nuova.
Le ombre intorno
Nel tempo che abbiamo lasciato scorrere tra noi per fermare questo momento, l’attesa ha bruciato ogni desiderio. Le cicatrici e i lividi che abbiamo maturato sul corpo sono trincee in cui combattiamo, logorati dalla guerra, senza trovare riparo. La luce riempie la stanza, sbatte le nostre ombre sui muri, siamo circondati. Tendo la mano cercandoti, avanzo verso il calore perché è ciò che rappresenti per me, il sollievo dal freddo. La nostra casa è in fiamme, il calore mi spacca le labbra, mi spacca la faccia, mi abbandono tra le tue braccia, tra le macerie e i resti sparsi di ciò che credevamo di avere messo in salvo e avevamo lasciato indietro.
La luce di ciò che ci aspetta
Un coro di voci riempie l’aria densa di cenere. Scomposte, sovrapposte, si annullano nel frastuono. Resta solo silenzio, solo silenzio. Ad ogni risveglio rinascere e incontrarsi ancora, con la memoria dei giorni passati, nella luce di ciò che ci aspetta. Ad ogni risveglio rinascere e incontrarci ancora, nella luce di ciò che ci aspetta.
Corpi Celesti
Ogni goccia di pioggia riflette i raggi del sole a suo modo. I colori si completano solo quando cadono vicine. Possiamo essere tempesta o un vento caldo e delicato, comporre arcobaleni o travolgere il mondo. Se la coscienza determina la direzione, l’azione che segue il bisogno è scintilla di rivoluzione.
Una sottile linea
Sono anni che scrivo tutto ossessivamente ma è proprio ciò che scrivo che dimentico più facilmente. Mi guardo alle spalle mentre cammino, cerco qualcosa che avrei perso e pian piano perdo me stesso. Una sottile linea di inchiostro si annoda sotto la mia pelle, ha un inizio, ma l’altro capo si perde nella matassa, quando si fa più spessa. L’ho messa dove nessuno la può vedere, così da non doverle dare un significato: lo farò quando starò meglio. Il mio tempo è adesso: nel passato che diventa futuro. Il mio tempo è adesso: nel presente che è già futuro passato. Il mio tempo è adesso: nel futuro lasciato indeciso. Il mio tempo è adesso: adesso.
Ogni volta che penso a tutto il tempo che ho perso a bagno dentro me stesso annego… Annego.
Quando la rete attorno è salda è così facile lasciarsi andare ma alla lunga si rischia di rimanere impigliati. Ho creduto troppo in quello che dicevano di me per accorgermi che non sarei durato per sempre.
Parole d’amore
Travolto, sommerso dall’onda del tempo passato fermo a galleggiare. Gli eserciti della volontà e dell’immobilismo si scontrano sul mio corpo inerme, le fiamme che sento ardere non mi animano, mi divorano. Ancora una volta non ho fallito nel riuscire: non sono riuscito a provare. La meta sarà sempre irraggiungibile se non sei capace di individuarla. Scrivimi lettere piene di parole d’amore.
Convalescenza
[Strumentale]
Replica
Sono il conducente di una macchina: non l’ho scelto, ci sono nato dentro. La macchina offre risposte, così tante che ho finito le domande, non sono più capace a formularle, ma nemmeno a concepirle, e allora interviene la macchina: “A cosa stai pensando? Ti ascolto…”. Non sto pensando a niente, sono ancora in grado di pensare? Riempio il petto d’aria, lo riempio di nuovo, sempre più veloce, per calmarmi cerco di mettere a fuoco qualcosa, di distrarmi ma la macchina mi richiama alla guida. Sono il pilota automatico di una macchina, la macchina è il mio pilota. Sono sul sedile posteriore di una macchina, la strada è sgombra, la luce fastidiosa per gli occhi. Chiedo al conducente dove siamo diretti, mi risponde che sono io a deciderlo, e guardandolo mi rendo conto che sono io, il conducente sono io, lui sono io. Seduto in disparte con il cellulare in mano, dalla porta socchiusa vedo le sue lunghe gambe. Per un attimo realizzo che mi aspetta distesa sul letto, poi una leggera vibrazione mi scuote, la soglia si stringe, perdo il contatto. Quando rialzo lo sguardo, sono di nuovo altrove, e anche lei è ormai altrove. Probabilmente l’ho vista allontanarsi, ma di quel momento non ho che un ricordo sfocato. Cercando di mettermi per sempre al riparo dall’infelicità, ho rinunciato una volta per tutte a sentire, precludendomi ogni possibilità di essere felice, impedendomi di essere felice.
Origami (2020)
- Il Male Minore
- Contagio
- Torna da me
- Mediterraneo
- La strada di casa
- Come Origami
Il male minore
Sto cercando
di imparare
a prendermi cura
di me stesso
Ma non riesco
più neanche
a stare da solo
un momento
Metto in fila
sempre gli stessi gesti
a cui
so dare un ordine
ma non un significato
Parlo da solo
cammino veloce
mastico i nervi che dovrebbero reggermi
Improvviso espressioni
consumate
Per illudermi ancora di avere il controllo su di me
Cerco uno schema
Inseguo una costante
A cui aggrapparmi
Traccio un disegno
Bramo un significato
Mi vedo riflesso
E in ogni stagione, percorro sempre lo stesso viale
Guardo le foglie cadere e rinascere, mentre
Io tengo stretto quel poco che resta, tra le mie mani
Stringo così forte da dimenticarmi perché
Se ad ogni passo
Continuo a scegliere il male minore
Maggiore è il divario
Tra chi sono e chi potrei essere
“Il male minore” è una riflessione sul diventare adulti, sulle responsabilità, sulla paura di non saperle gestire e sugli effetti deleteri che questo ha sull’umore, sulla stabilità, sul benessere, sulla percezione di sé.
Contagio
Parole private del loro significato
Come armi affilate
Per tracciare i contorni di una forma a cui manca sostanza
Di un’identità
Definita per scarto rispetto a ciò che è diverso
Ma è solo paura
Di essere scarti anche noi a nostra volta
Chi siamo davvero se nessuno ci guarda?
Perdiamo i denti da latte e ci illudiamo di morder più forte
Siamo solo più soli, ingabbiati da un odio che non conosce ragioni
Senza il coraggio di guardare in basso
puntiamo i piedi per darci lo slancio,
per la paura di vedere nell’altro
il nostro futuro
Quegli occhi non sono nient’altro
che uno specchio in cui siamo assediati
dal nostro agio,
effimero argineChe se il disprezzo non ha mai dato
valore a niente,
la paura del contagio
lo rende appetibile
“Contagio” descrive l’atteggiamento che contraddistingue molti nostri coetanei i quali, in virtù di una supposta superiorità antropologica e culturale (certificata dal corretto uso della lingua italiana) si sentono in diritto di accanirsi, con una violenza mal celata dal sarcasmo, contro coloro che ritengono indegni di esprimere la propria opinione in quanto identificati come ignoranti. Paradossalmente, chi attacca coloro che attaccano “gli ultimi”, i diversi, gli emarginati, non si interroga su chi sia l’oggetto dei propri attacchi, molto spesso costituito dai “penultimi”. In un contesto in cui strati sempre più ampi della popolazione vedono peggiorare la qualità della propria vita, anche chi occupava una posizione di agio vede avvicinarsi la “malattia” più temuta, la miseria, e si sente in dovere di rappresentare in maniera sempre più teatrale ed eccessiva, la propria “salute”, la propria alterità rispetto a ciò che lo circonda.
Torna da me
L’umana esigenza
di dare un senso a ciò che si è perso
Mutato nel tempo
è una trappola ineludibile
Non voglio voltarmi
Ho paura che tu possa non esserci più
Ma non riesco a guardarti
Negli occhi ho una lama di verità
Affilata nei giorni passati da solo
Rileggendo nervoso la storia che ci ha portati fin qui
Maledico ogni passo ma se lo immagino altro inganno anche me
Ogni attimo è stato frutto perfetto del nostro essere
Ti ricordi quando, sdraiati nell’erba, camminavamo nel cielo?
Siamo rimasti senza le gambe
Per reggerci in piedi
Braccia troppo deboli e stanche
Per stringerci ancora
Sono ancora qui
Abbracciami
Sono ancora qui
Torna da me
“Torna da me” è una canzone dell’amore che finisce.
Molto più banalmente e drammaticamente di come uno possa apprendere dalla fiction (letteratura, cinema, televisione), che molto spesso costituisce l’unica fonte di educazione sentimentale, l’amore può finire anche senza traumi, semplicemente perché le due persone coinvolte non sono più allineate su quel sentimento. In assenza di uno strappo netto è tutto sfumato e difficile da comprendere ed elaborare, da superare.
Mediterraneo
Trascinati per inerzia, viviamo
la stessa morte ogni giorno
l’abitudine inaridisce l’anima
Spettatori non senzienti, di una tragedia che
diventa normalità
Il nostro corpo non galleggia, sprofonda
Desideriamo colmare l’oceano
ma farlo senza bagnarci
restando fermi sulla riva
nell’attesa che l’acqua
restituisca i corpi
per celebrare il nostro immenso dolore
Adagiati nell’orrendo teatro
Dell’opinione purché faccia audience
Assuefatti al racconto dell’odio
Ascoltiamo usando lo stomaco
Impauriti da ciò che ignoriamo
Confortati dal semplificare
Incapaci di tendere la mano
Asciutti anche sotto la pelle
Smarriti in mezzo alla tempesta
ci aggrappiamo a quel che resta
Delle fragili imbarcazioni
Approntate per la nostra vita
Fatte di deboli certezze
Valori pallidi da rinnegare,
Preghiamo non tocchi a noi
Di dover affrontare il mare
Messi in fuga
Dalla guerra peggiore
Aggrediti
Dalla nostra coscienza
L’apatia come
porto sicuro
La nostra è vita
o solo sopravvivenza?
Ci siamo chiesti più volte cosa racconteremo ai nostri figli di questi anni in cui la morte di esseri umani in mare è notizia quotidiana: abbiamo paura di trovarci a rispondere alla domanda “perché non hai fatto niente?”, “dov’eri?”. “Mediterraneo” mischia appunti di rabbia e vergogna sul vivere qui, sulla riva, all’asciutto, e vedere così tanti morti da diventare quasi insensibile, da perdere l’umanità.
La strada di casa
Ho scritto un libro
con le parole che hai detto
senza tralasciarne nessuna
Con cura
Per definire un linguaggio comune
La nostra strada di casa
Ma queste pagine
non sono grandi abbastanza
e per quanto scriva
prevale ciò che manca
Affido il mio sguardo al vuoto
so che è l’unico posto in cui
sfuggire alla tua accecante
brillantezza
Se chiudo gli occhi
Riesco a vederti
Immediata, senza incomprensioni
La sospensione
Del contatto
Definisce il mio bisogno di averti accanto
A volte vorrei aver incastrato le giuste parole con una freccia nel tempo
ma non ho avuto il coraggio di parlare,
non ho avuto il coraggio di farmi capire
“La strada di casa” è una canzone d’amore, inteso come impegno quotidiano a comprendere e intrecciare le esigenze dell’altro con le proprie, al servizio di un progetto comune. Un percorso non privo di difficoltà, ma guidato dal valore unico che si riconosce all’altra persona.
Come Origami
Il mio numero:
una gru origami di carta sottile
Che si staglia nel cielo
dai vetri di camera mia
Inadatta al volo,
osserva gli uccelli, gli stormi, le rotte
Illudendosi un giorno
di non essere più sola
Costantemente alla ricerca di uno sguardo amico
metto in sequenza i miei passi migliori
Ma vago senza meta, il mio obiettivo non è un luogo
vorrei solo sapere come fare a incontrarti di nuovo
Se non è mai iniziato
non potrà mai finire
“Come origami” racconta la solitudine e l’assenza di amore, l’idealizzazione di questo sentimento.
Paura di farcela (2018)
- All’alba di ogni notte
- Vertigine
- Almeno il tuo sguardo
- Paura di farcela
All’alba di ogni notte
Occhi aperti fissano il buio
le mille forme della soffocante cella dei miei pensieri
Il respiro si fa corto e faticoso
I nervi gelidi in tensione sembrano cedere
Mi vedo steso sull’abisso poi trasportato in profondità
Mentre appassisco lentamente il corpo inerte non reagisce più
Ad ogni slancio che improvviso sento una forza che mi spinge giù
Cerco un appiglio nei bagliori per ritrovare la lucidità
Mi alzo madido di sudore barcollo ancora nell’oscurità
Se il giorno è lo spazio in cui la realtà disegna e nutre le nostre inquietudini, è la notte il momento in cui è più difficile affrontarle: non perché assumano connotati più terribili, semplicemente perché rimaniamo soli con esse in una gabbia da cui ci è impossibile evadere. Il nostro corpo.
Vertigine
Cammino sul mio filo, teso come un equilibrista,
non voglio cadere ma so che lo farò
La mia condanna non è il vuoto sotto i miei piedi,
ma quello che reggon le spalle: il peso di ogni domanda
Le tempie comincian a pulsare, la vertigine fa vacillare,
i polmoni vuoti stanno per collassare
Vulnerabile, in preda a me stesso cerco appiglio, senza trovarlo, mi sbilancio, cado nel vuoto
Precipito, ma la caduta termina perennemente su un altro filo:
la vita è un circuito chiuso
Se il mio destino è precipitare, aprirò gli occhi per godermi la vista
Le inquietudini che divorano la notte sono le stesse che rendono così stentato il giorno.
Viviamo in tensione costante, alla costante ricerca di un equilibrio che sappiamo già non possa essere che precario. Ogni equilibrio non è che il preludio alla caduta. Non vi è nulla di liberatorio in questo, dal momento che ogni caduta impone una nuova condizione di precarietà: non resta che godere della vista offerta dal vuoto della caduta.
Almeno il tuo sguardo
Ho dato del tempo al tempo e il tempo intanto si è preso tutto
mentre aspettavamo di stare meglio
Ho creduto nel nostro tempo in un futuro miglioramento
di quello che un tempo sembrava perfetto
Accorgersi che non tutto è componibile, per quanto ti sforzi
La tua percezione deforma le cose che hai intorno, le chiama per nome
La troppa attenzione ai difetti dell’altro nasconde alla vista il sogno comune
Finché non ti trovi sepolto da mille domande senza risposta
Non posso, restare fermo qui, sospeso nel vuoto
Ho bisogno di riconoscerci, almeno il tuo sguardo
Che significato si può dare al fallimento?
Ognuno di noi è una creatura unica. Per questo è così difficile
avere a che fare con altri. Anche quando pensi di aver trovato qualcuno simile a te, alla lunga le differenze sembrano essere più delle cose in comune.
Ci si trova smarriti in quello che si considerava casa, schiacciati da un peso insostenibile. Disfare tutto è la scelta più facile e spesso sensata, ma liberarsi dell’altro non ci libera da noi stessi, dai nostri difetti, che è invece possiamo risolvere solo attraverso la relazione con l’altro.
Paura di farcela
Arrampicarsi sugli scogli del nostro agosto
Per ritrovarci ancora scelti nostro malgrado
Costruire castelli di sabbia, di fango di
Desideri repressi per paura di farcela
Non ho più risorse per galleggiare
Le ho perse sul fondo del mare
Intenti a seguire le orme profonde che abbiam lasciato indietro
battendo di nuovo quei solchi sicuri sprofonderemo
Viviamo una quotidianità di prassi consolidate, comportamenti codificati che ci aiutano a stare bene con noi stessi e con gli altri, ad affrontare la realtà.
Ci affidiamo ad esse al punto da non accorgerci che tutto intorno cambia e quello che stringiamo con così tanta convinzione in realtà non ci sta salvando,
ma affossando.
La paura di farcela è quell’immobilismo cui ci costringiamo per evitare di affrontare i nostri limiti e la nostra inadeguatezza alla realtà.